sabato 29 marzo 2014

Kokoro

Il battito del cuore è il primo suono che impariamo a riconoscere nel ventre materno, al tempo stesso è ciò che designa la nascita di una vita o il suo arrestarsi...Scandisce il ritmo dello scorrere del tempo ed è specchio delle emozioni. Inutile spiegare oltre un qualcosa di inafferrabile che è alla base della nostra esistenza.
Come si può dunque definire qualcosa di così impalpabile come il battito del cuore umano?
Su di un'isola nel cuore (è proprio il caso di dirlo) del Giappone, Teshima, oltre 50.000 battiti vengono conservati in un luogo chiamato Les Archives du Coeur, L'Archivio dei Cuori, un'opera dell'artista Christian Boltanski.
Boltanski è nato a Parigi il 6 settembre del 1944, nove giorni dopo la liberazione della capitale francese, da madre corsa, cattolica e padre ucraino, ebreo. Pittore autodidatta, a 14 anni infatti smette di andare a scuola per dipingere. Il suo lavoro è influenzato dal peso dell'Olocausto, di cui dice di essere figlio. Infatti, egli stesso dichiara: « [...] durante tutta la mia infanzia e l'adolescenza ho sempre sentito parlare di Shoah. Avevamo l'impressione di essere dei sopravvissuti». Dice inoltre: «il mio lavoro, non è sulla Shoah ma dopo la Shoah, dopo questa sconfitta della ragione». Nonostante lasci presto il disegno e la pittura tradizionale per dedicarsi a mezzi come l'installazione, il suono, il video, continuerà a definirsi "pittore del XX secolo". I suoi lavori sono incentrati principalmente sulla catalogazione e sull'archiviazione, dando risalto alle storie di quelle persone "comuni" che in genere non hanno voce. Tra le sue opere più famose vi è Les archives de C.B. 1965-1988 (Parigi, Centre G. Pompidou), un archivio che contiene 1200 fotografie e 800 materiali diversi provenienti dalla sua bottega contenuti in 646 scatole di biscotti di latta arrugginita.




 Christian Boltanski, Les archives de C.B. 1965-1988, 1989, Centre G. Pompidou, Parigi.

Nell'articolo intitolato La memoria e la salvezza, in Artedossier n.304, Jean Blanchaert scrive: « [...] il suo motto sembra essere "colligo ergo sum", cioè raccolgo, raduno, catalogo quindi i pezzi catalogati sono, esistono, esistono ancora».
Ed appunto questa sua attività di catalogatore lo ha portato, nel 2010, a realizzare l'Archivio dei cuori situato sull'isola di Tashima in Giappone. Questo vero e proprio archivio conteneva al momento della sua istituzione oltre 50.000 battiti cardiaci, raccolti a partire dal 2005, ed è attualmente ancora in fase di accrescimento. Un'opera in progress che raccoglie l'essenza più effimera della vita, tramite un apparecchio che lascia una traccia del cuore di ognuno su una memoria elettronica, che poi è possibile poter portare a casa su cd. Ma per poter fruire dell'Archivio bisogna arrivare sull'isola Tashima, proprio per volontà di Boltanski che ha evitato di pubblicare i battiti su un sito internet. In un'intervista rilasciata a Flash Art appunto afferma: «Ci sono cuori di morti e cuori nuovi, e poco per volta ci saranno sempre più cuori di persone morte. Chi andrà in Giappone a sentire il battito di sua madre, andrà a vedere l'assenza di sua madre più che la presenza. Ciò che conta non è tanto ascoltare il cuore della propria madre quanto compiere questo lungo viaggio fino in Giappone per pensare alla propria madre, per andare ad ascoltare il cuore quando in realtà non c'è più nulla, un rumore e nient'altro». Quindi il punto nodale di questa opera non sono tanto i battiti ma il viaggio che può assumere significati differenti a seconda dei punti di vista, come una sorta di «pellegrinaggio per ascoltare il cuore di una persona cara» (come afferma lo stesso artista) o come una metafora del viaggio della vita, costantemente sostenuto da quei battiti si ricercano sull'isola giapponese. 


Un estratto dal film Vies possibles de Christian Boltanski di Heinz Peter Schwerfel, 2008.

La ricerca artistica di Boltanski, incentrata sulla memoria, affascina per questa sua potenza evocativa che riesce a ricreare con dei semplici oggetti, costruendo un ponte empatico tra l'opera e lo spettatore.
In Italia Christian Boltanski è stato chiamato ad un compito molto delicato: quello di realizzare un'installazione per il Museo della memoria di Ustica, una strage che resta ancora avvolta in un alone di mistero. Su quest'opera non mi soffermerò, nella speranza di vederla un giorno da vicino e poterla quindi commentare dal mio punto di vista. 

Annapaola Di Maio

domenica 16 marzo 2014

Sviste

Un giorno mi è capitata sottomano una rivista molto popolare, per la precisione Oggi n.9 del 26/2/2014 , in cui vi era un articolo intitolato "Perché il Colosseo vale un quinto della Tour Eiffel?" e fino a qui nulla di strano, anzi mi ha interessato molto e per certi aspetti è un articolo che fa riflettere. L'articolo illustra le valutazioni economiche di vari monumenti europei confrontate a quelle dei beni culturali italiani, con dei dati davvero catastrofici. Ma il punto cruciale è un vistoso errore, che se facesse il giro del mondo svaluterebbe ancora di più il nostro patrimonio, il cui responsabile sarebbe il direttore degli Uffizi, Antonio Natali: «... Ci si dimentica che noi possediamo l'unica opera sicura di Leonardo da Vinci su tavola, il Tondo Doni, per non parlare di Michelangelo che quei 12 miliardi se li divora tutti, da solo». Ora, subito mi sono domandata se fossi io l'ignorante o se il direttore degli Uffizi fosse un impostore. Credo che se potesse Michelangelo si divorerebbe lui e il giornalista per questa svista clamorosa. Il Tondo Doni, inutile dirlo, è un importante dipinto su tavola di Michelangelo Buonarroti, custodito attualmente alla Galleria degli Uffizi di Firenze. 

Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni, 1506-1508, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Chissà a cosa volesse riferirsi il dott. Natali, e c'è da domandarsi se sia stato un suo lapsus o una negligenza del giornalista, o entrambe le cose. Comunque fatto sta che quando si fa informazione si dovrebbe cercare di prevenire affermazioni errate, soprattutto quando un settimanale ad alta diffusione divulga nozioni culturali. Una cosa è sbagliare il nome di un calciatore che sta con la modella di turno, un'altra è attribuire un'opera a tutt'altro autore.
Un altro simpatico "incidente" è avvenuto pochi giorni fa, su un manifesto per la "Giornata del Sonno" il 14 Marzo (e segnalato dalla pagina facebook Mo(n)stre).


Addirittura una pubblicità patrocinata dal Ministero della Salute, che evidentemente non si è consultato prima con quello dei Beni Culturali, sempre se i loro funzionari se ne fossero accorti. Sembra proprio il caso di dire che Il sonno della ragione genera MOSTRI, in questo caso mostruosità linguistiche. L'opera riportata nel manifesto a cui si fa evidentemente riferimento è la famosa Venere dormiente di Giorgione, nota anche con il nome di Venere di Dresda perché custodita alla Gemäldegalerie di Dresda, appunto.

Giorgione, Venere Dormiente, 1507-1510, Gemäldegalerie, Dresda.

Neanche a farlo apposta nel mirino di queste sviste vi sono due opere più o meno coeve, anche se stilisticamente differenti.
Insomma si ride per non piangere.

Annapaola Di Maio